Cielo, Manca

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cielo manca

Il calcio come metafora della vita, come legame tra la purezza dell’infanzia ed i compromessi dell’età adulta, il calcio come fonte di sostentamento, come ancora di salvezza dalla follia. Questo, e molto di più, è il gioco più bello del mondo in questo romanzo di Garlando, redattore della Gazzetta dello Sport ai tempi di Cannavò. Cielo manca ci racconta l’assurda odissea di Max Violanti – anch’esso redattore della rosa e chiaro alterego dell’autore – inviato dal direttore in Sardegna per intervistare l’amico Gianfranco Zola, eroe italiano in terra inglese. Ma mentre Max dorme in casa del campione sardo – in arrivo dal Londra – viene aggredito e rapito da tre uomini, che lo portano in una grotta del Supramonte e lì lo incatenano; lo scambio di persona non li fa desistere ed ecco partire una richista di 10 miliardi (nel ’97 avevamo ancora le vecchie, care lire…) al quotidiano sportivo. Maltrattato, denutrito e senza la possibilità di lavarsi, Max riuscirà a non piombare nell’orrido della follia grazie al più umano – o vogliamo dire il meno bestiale? – dei suoi sequestratori: un pastore muto che passa tutte le ore di sorveglianza nella grotta a giocare con un enorme mazzo di figurine Panini, dagli anni sessanta ad oggi… Le figurine, attraverso i nomi dei giocatori o grazie alle gesta di alcuni di loro, diventeranno il mezzo di comunicazione tra i due – accomunati da un amore enciclopedico per il calcio – grazie a cui Max troverà un “amico” e verrà informato sugli sviluppi del suo rapimento, ma anche sulla cronaca, sulla politica mondiale e – naturalmente – sul campionato di calcio in corso. Nove mesi: tanto durerà la prigionia di Max, una vera e propria gestazione che sfocerà nella nascita di un nuovo se stesso, di una persona totalmente cambiata, segnata, ma non distrutta… semmai rigenerata, che cercherà dalla vita tutto il contrario di quanto aveva inseguito fino ad allora. Un calvario commovente e poetico, sebbene legato così intimamente ad una pratica tanto terrena ed ormai antitetica alla poesia come il business del pallone; un supplizio che, attraverso le mitiche figu dell’epico Album Panini, risveglia in Max centinaia, migliaia di ricordi dell’infanzia, della famiglia, dell’adolescenza fino ai tempi più recenti – la sua donna fotografa e stronza, il suo lavoro – in un bilancio esistenziale senza compromessi, tipico di chi – sapendosi in pericolo di vita – fa il punto della situazione senza concedere sconti a nessuno, nemmeno a se stesso. Poetico anche nel titolo, il romanzo di Garlando, che aggiungendo al tormentone figurinesco celo-manca una semplice lettera (guarda caso la i di imprigionato) esprime la mancanza della più scontata delle libertà per chi sta in catene: la possibilità di ammirare il cielo, nuvoloso o stellato che sia. 

E’ uno dei pochi libri che ho letto due volte.
Secondo me per chi è stato ragazzino negli anni Sessanta o Settanta e ha fatto qualche edizione della raccolta di figurine Panini è un libro da non perdere.
L’autore, Luigi Garlando, è giornalista della Gazzetta dello Sport. (Giancarlo)

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